In ambito sportivo esiste una figura che da sempre mi affascina, nonostante la mia proverbiale pigrizia e scarsa propensione all’attività fisica. Essa è parte integrante dell’esito di qualsiasi performance atletica: l’allenatore o coach, per usare un anglicismo (concedetemelo, mi sembra il contesto adatto).
Ce lo insegnano anche nei film: il coach c’è sempre, anche quando non si vede, pronto a formare, supportare e motivare l’atleta. Anche nella vita reale i più grandi sportivi di tutti i tempi, quelli che hanno vinto tutto, senza il loro motivatore probabilmente non ce l’avrebbero fatta a trionfare.
Sembra quasi che il coach sia fondamentale più per la mente che per il corpo. O forse è proprio di questo che si tratta?
Con il passare del tempo ho fatto pace con la mia scarsa abilità atletica e ho capito che, se c’era una parte del mio corpo che riuscivo ad allenare bene, con più piacere e più risultati, quella era il cervello. Dopo parecchi anni di allenamento in ambito linguistico, ho capito che sarei stata in grado di formare anche gli altri, andando oltre e affiancando lo studente durante la sua evoluzione, sostenendolo e motivandolo.
È così che mi sono (ri)messa a studiare per provare ad essere il miglior mix di insegnante di lingue, motivatore e sostenitore possibile: insomma, una language coach.
Sono partita dalla credenza comune per cui il supporto morale in fase di apprendimento sia un privilegio concesso principalmente ai bambini. Si dice spesso: Bravissimo! Fantastico! Ottimo lavoro! Questi erano i complimenti (attenzione: non giudizi!) che ricevevamo da piccoli quando completavamo un compito. Già, ma da grandi? Quante volte avremmo bisogno di una parola gentile, un gesto di incoraggiamento, per riuscire meglio in ciò che studiamo da adulti?
Mi faccio spesso questa domanda, più che altro ripensando a quanto di più avrei potuto dare con un coach di matematica (già, oltre allo sport, questa materia non è proprio il mio forte….Ma va beh è un’altra storia).
Ti chiederai dunque: un language coach, di preciso, cosa fa? In linea generale si può dire che è più di un insegnante perché, oltre a curare l’aspetto nozionistico della lingua di studio, si occupa degli aspetti emotivi coinvolti nella formazione. Io, nel mio piccolo, provo a svolgere con e per i miei studenti questo insieme di azioni:
INDIVIDUARE LE ABITUDINI DI STUDIO PIÚ ADATTE
Il consiglio che do a tutti i miei studenti è di svolgere almeno 2 lezioni a settimana, supportando lo studio con esercizi individuali e con una routine comunicativa da integrare alla quotidianità. Per gettare le basi di una buona conversazione svolgo anche esercizi che coinvolgono respirazione, postura e mente.
SUPPORTARE E MOTIVARE
Festeggiare le conquiste, fare un complimento, usare parole gentili, valutare per valorizzare e non per umiliare o giudicare, spronare quando manca la motivazione, enfatizzare le capacità del singolo e rafforzare l’autostima. Uso questo approccio perché so quanto sia importante sentirsi apprezzati, e quanto a volte avrei avuto bisogno di ricevere anche io una parola di incoraggiamento in più nel mio percorso di studi.
RESPONSABILIZZARE
Il processo di apprendimento e le conquiste ottenute non ricadono sull’insegnante, ma sullo studente che attraverso la presa di coscienza si fa carico dell’obiettivo (“lo faccio per me” diventa una frase che, con grande soddisfazione, sento ripetere spesso da chi sceglie di studiare con AV).
SOSTENERE ANCHE FUORI DAL CONTESTO CLASSE
Il concetto di insegnante diventa quasi riduttivo quando si lavora come language coach. La comunicazione, anche al di fuori dell’orario della lezione, avviene sempre nella lingua di studio per favorire l’esercizio. Spesso poi, quello che inizialmente è solo un contatto, diventa un legame che va oltre la durata del corso. In alcuni casi si diventa perfino amici. Mi verrebbe da dire, ispirata da una nota pubblicità di gioielli, che un language coach è per sempre (e costa anche molto meno!).
Come dici? Anche a te è venuta una voglia improvvisa di avere un language coach?
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